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Precariato – “Zappare non è una vergogna!

Siamo alla frutta. Di nuovo questa metafora sulle mele e le arance, abusate sia a causa dei pesticidi che intasano il nostro metabolismo, sia come portata di “arrivo”; cioè quando si percepisce che una data situazione non è più tollerabile. E ancora: si pensa che “zappare” oppure (con più langage) coltivare la terra sia un deterrente alla realizzazione personale. Al raggiungimento di certi obbiettivi che ci si prefigge al momento della schiusa della nostra personale crisalide.

Ci auguriamo fortemente che nessuno debba perdere il proprio posto di lavoro, in ogni settore lavorativo che si rispetti. Ed i precari ultimamente sono purtroppo tanti. Invece di darsi all’ippica, siamo propositivi e soprattutto speranzosi che la vita riservi a tutti nuove opportunità. E l’agricoltura non è altro che un mezzo ed un sistema per andare oltre il mero guadagno. La terra è nascita e crescita. Una pianta segue tutto un processo che ci ricorda fortemente quello umano.

Lo stesso Massimo Fini [link], ha detto che l’autoproduzione è auspicabile come forma di rinascita e di nuovo slancio della società. Ma in termini più vicini a noi, ci si proponga comunque di portare avanti la ricerca del prodotto sano, acquistato dal negoziante di fiducia e realizzato con una filiera che tenga in considerazione il rispetto per la natura, oltre che per i nostri stomaci. Tutto ciò non è utopia, perché ogni cosa deve poter partire dalla nostra coscienza e, in questo caso, dalla valorizzazione della terra e di tutte quelle pratiche che la riguardano. Noi mangiamo ciò che coltiviamo.