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RIPENSARE LA SOCIETA’ CAPITALISTA

Bisogna ripensare la società capitalista.
Così come è stata impostata la società occidentale non va bene, lo capisce anche un bambino.
Che sia profondamente sbagliato il fatto che l’80% della ricchezza sia nelle mani del 5% della popolazione non è una considerazione comunista o totalitaria, è semplicemente applicare leggi di moralità, equità, giustizia.
Dagli anni 80 del secolo scorso in avanti è stata lasciata via libera ad un capitalismo sfrenato che aveva come unico obiettivo l’aumento della produzione e dei consumi nella convinzione che questa era l’unica strada per migliorare il benessere.
Sembrava che ogni azienda dovesse avere un unico obiettivo: l’aumento del fatturato. Quest’anno abbiamo migliorato del 10%, l’anno prossimo dobbiamo puntare al 15%.
Perché?
Quando il tuo prodotto vende, paghi i tuoi operai, hai un buon margine, a cosa serve volere di più? Hai uno yacht di 25 metri e nei vorresti uno da 35?
La società è così entrata in una spirale perversa impossibile da reggere: le previsioni di un crollo erano così facili che la maggior colpa di politici e amministratori di capitale è stata l’ingordigia: saperlo e non fare nulla per evitarlo.
Poco a poco ogni movimento di persone, servizi, lavoro, edilizia, produzione è entrato nel ricatto della speculazione.
Sarebbe facile indicare le banche come responsabili dell’attuale degrado della società ma esse non sono che un anello del meccanismo.
Allettate dal facile guadagno di investimenti spericolati, anche le banche hanno perso di mira il loro primario obiettivo, quello di fornire credito alle persone con la corrispondenza di un ragionevole tasso di interesse.
Lentamente hanno contribuito al movimento di un capitale non corrispondente alla realtà, cifre gonfiate e fittizie che hanno trascinato nel vortice di distruzione aziende, società, famiglie e persino nazioni.
Il sistema si è ripiegato su se stesso, è come se si fosse annientato nella sua irrefrenabile ingordigia.
Come fare a questo punto?
Non è difficile.
Bisogna ridare il giusto valore alle cose. A cominciare dalle più piccole.
Un dirigente non deve guadagnare più di dieci volte lo stipendio base dell’azienda per cui lavora (regola di Adriano Olivetti).
Lo Stato deve fornire servizi adeguati alla popolazione (sanità, istruzione, sicurezza, giustizia, trasporti) investendo in modo corretto i suoi introiti.
La politica non deve essere un lavoro ma un servizio alla popolazione.
Artigiani, agricoltori, piccole imprese devono poter lavorare assistiti dalla pubblica amministrazione e non vessati da soffocanti balzelli.
Lo Stato, primo datore di lavoro di una nazione, deve investire sui giovani occupandoli nei servizi alla popolazione e (nel caso del nostro paese) nella custodia e divulgazione del patrimonio artistico.
Ma, sopra ogni cosa, qualsiasi tipo di attività non deve avere come obiettivo il profitto ma il benessere dell’umanità.

Danilo Ramirez

Liborio Butera:
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