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Stage di Capaci, il diciassettesimo anniversario

Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana.” Questa è una frase di J. F. Kennedy, ma è la citazione che più amava Giovanni Falcone, il giudice eroe barbaramente assassinato il 23 maggio del 1992 nella strage di Capaci dalla mafia siciliana. Assieme a lui sono morti la moglie Francesca Morvillo magistrato anche lei, gli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Oggi si commemora il diciassettesimo anno della strage: potrei usare mille parole articolate in un milione di modi diversi per ricordare l’uomo e il giudice Falcone, ma quelle che mi hanno colpito di più, per semplicità e profondità sono quelle di un giudice come lui che lo conosceva molto bene, Giovanni Tenebra: “Falcone era il prototipo del giudice, ossia una persona serena, equilibrata, consapevole che il miglior modo per arrivare alla verità è cercarla senza preconcetti, senza impostazioni ideologiche e senza prevenzioni, animandosi solo dalla volontà irrefrenabile di arrivare all’accertamento della verità. Lui faceva questo: scavava, scavava, scavava. Con la sua semplicità, la sua grande intelligenza e la sua disponibilità sapeva arrivare subito al cuore delle persone. Gli stessi criminali, quelli più incalliti, si rivolgevano a lui con il massimo rispetto, mentre i collaboratori di giustizia, erano, dalla sua figura e dal suo magnetismo, indotti a sgretolare l’impenetrabile muro di omertà che, fino a quel momento, aveva ammantato l’attività della mafia. Giovanni Falcone era un Giudice, con la ‘G’ maiuscola e rimarrà un esempio per tutti noi, insieme a Paolo Borsellino”.